Tra le tante pagine più buie del
nostro trasporto pubblico locale c'è certamente quella di Roma TPL, il consorzio di aziende private che dal 2010 (ma de facto
sin dal 2000 con le linee 'J') gestisce
circa il 20% delle linee autobus di Roma.
Come largamente documentato dalla
cronaca locale, sin dal 2015
l'erogazione degli stipendi agli autisti è diventata sempre più irregolare
portando a più riprese alla sospensione del servizio. L'ultima in ordine di
tempo è avvenuto martedì 10 luglio scorso dalle 4:20 alle 7:20 con il blocco della rimessa in via Raffaele Costi, una delle principali del consorzio.
In questa situazione il Movimento 5 Stelle romano, che aveva
fatto della rescissione del contratto il suo cavallo di battaglia, ha prolungato l'affidamento di ben sei mesi a Roma TPL a causa di innumerevoli errori commessi durante la scrittura del
nuovo bando di appalto. Il contratto in essere scadrà il 1° gennaio 2020, con
il passaggio di consegne a due nuovi gestori privati.
I chilometri annui percorsi dai privati saranno aumentati da 30 a 45
milioni, in barba a quanto sostenuto dal Movimento che ha definito Atac un
fiore all'occhiello da salvaguardare. Torna utile ricordare che le direttive europee vigenti prescrivono
come minimo la messa a gara del 10% dei chilometri percorsi rispetto al volume
totale di produzione: a Roma, dove ogni anno l'Atac dovrebbe macinare 150
milioni di chilometri, pertanto il
minimo di legge sarebbe di 15 milioni di chilometri annui.
In un clima di assoluta omertà la
nostra Giunta non solo ha aggravato le difficoltà di ben 1800 autisti, che senza
stipendio fanno fatica a pagare le spese domestiche, ma si è preparata ad
affidare il triplo dei chilometri ai privati.
Con queste premesse che senso avrà senso far votare il referendum?
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