lunedì 20 gennaio 2014

Un tuffo nella storia, alla ricerca delle origini del trasporto pubblico (Pt. 2)

Con l’inaugurazione della linea Liverpool – Manchester si concluse quindi la preistoria della ferrovia. Nel 1835 il Parlamento autorizzò l’investimento di 15 milioni di sterline per la costruzione di ferrovie, più di quanto si era speso per tutti i canali messi insieme. Nonostante le crisi del 1837 – 1841 e 1847 – 1849, la crescita della strada ferrata non si fermò e in meno di 20 anni vennero messe in esercizio le linee principali dell’Inghilterra. Solo gli Stati Uniti avevano maggiore chilometraggio, ma le loro ferrovie erano state costruite velocemente e con poca tecnica tanto che erano utilizzati ancora impiegati i binari di legno. L’uso del legno assicurava un basso costo su chilometro ma gli incidenti erano maggiori, i tempi di percorrenza si allungavano e c’erano altissimi costi di manutenzione.  

In breve tempo in Inghilterra vennero creati 50.000 posti di lavoro permanenti ai quali andavano aggiunti tutti quegli ingegneri e fornitori che spingevano alla creazione di nuovi collegamenti. Quando i treni raggiunsero le 50 Miglia/h (80,5 km/h) si incominciarono a studiare sistemi per controllare il traffico e da qui nacque la necessità di introdurre l’uso del telegrafo. Dal 1840 iniziò anche un processo di fusione tra le società delle linee satelliti fino ad arrivare ai cosiddetti “re delle ferrovie”. A rallentare questa tendenza in Inghilterra fu l’uso in alcune regioni dello scartamento allargato. Lo scartamento è il termine tecnico con cui viene indicata in ambito ferroviario la distanza tra i binari: in Inghilterra la maggior parte delle linee era stata costruita adottando lo scartamento normale, una minima parte invece venne impiegato lo scartamento allargato. La diversa distanza dei binari rese impossibile a due società con scartamenti diversi la fusione non senza gli adeguati lavori di trasformazione, ma ben presto il parlamento con una legge del 1846 impose la costruzione di ferrovie con il solo scartamento normale. Nel frattempo ll telegrafo elettrico assunse un’ importanza straordinaria nella gestione della rete tanto che il governo ne acquisì il controllo per limitare i poteri dei re delle ferrovie. In tale ambito è da citare il Belgio che fu il primo paese del continente europeo ad avere ferrovie costruite e controllate completamente dallo stato. Per finanziare tali infrastrutture in parte furono emesse obbligazioni  e in parte si fece affidamento ai capitali inglesi. All’inizio la rete ferroviaria non diede grandi profitti, anche perché bisognava saldare il debito nei confronti dei britannici, ma le sue tariffe contenute furono apprezzate dalla popolazione: per la prima volta la strada ferrata era considerata un servizio pubblico. L’esempio belga venne ripreso anche in Germania dove lo stato con la crisi del 1847 – 1850 ebbe occasione di acquistare azioni ferroviarie a basso costo dai privati. La collaborazione finanziaria con gli inglesi venne ripetuta anche in Italia dove Pio IX fece costruire la rete dello stato Pontificio: nel 1856 entrò in esercizio la prima linea Roma – Frascati,seguita poi dalla Roma – Velletri e dalla Roma - Civitavecchia. Dopo otto anni ed un tunnel nei pressi di Ciampino, i venti chilometri del tracciato erano pronti. Una sola cosa però era sbagliata in questa opera pubblica: la posizione delle stazioni. A Frascati il capolinea venne realizzato ad alcuni chilometri dal centro abitato nella località Campitelli, mentre a Roma fu posto al di fuori dalle mura, presso Porta Maggiore, allora periferia. Per questi motivi venne ironicamente chiamata dai romani: “la ferrovia che non parte da Roma e non arriva a Frascati”. In generale la costruzione delle ferrovie non venne accolta favorevolmente dall’opinione pubblica: c’era chi credeva che le ruote una volta avviate fossero impossibili da fermare, essendo lisce e con poco attrito. Inoltre la lotta tra i possessori di canali e i magnati ferroviari fu molto aspra. I piroscafi ormai conservavano il primato solo per il trasporto di merci
ingombranti e in quei paesi con una favorevole idrografia come l’Olanda. Ci furono faide, attentati e lotte aspre nei parlamenti finché gli ulteriori progressi tecnologici non infusero nuova vita nei battelli a pale: l’invenzione dell’elica permise ai piroscafi di ritagliarsi definitivamente il loro posto nel mondo trasporti. La propulsione ad elica rese obsoleto il veliero, permise anche l’aumento di tonnellaggio delle navi e una maggiore efficienza delle stesse. La costruzione però era ancora imperfetta: i nuovi piroscafi venivano concepiti, con mentalità che guardava al passato, come navi di legno rivestite di ferro: solo dal 1869 i piroscafi vennero costruiti interamente di metallo. I cosiddetti clipper riuscirono per la prima volta ad attraversare l’Atlantico nel tempo record di 12 giorni e venivano a costare fino al 15% rispetto agli obsoleti  velieri. La costruzione di queste navi rivoluzionò completamente l’organizzazione dei cantieri navali e dei porti che dovettero essere adattati per ospitare questi giganti del mare. E, con l’aumento di velocità, si dovette presto integrare al trasporto marino il telegrafo elettrico sottomarino, prima utilizzato solo nei mari stretti e poi esteso dall’Europa all’America con il Great Eastern Cable. Anche in ambito navale gli anglosassoni conservarono il primato e un virtuale monopolio.

[...To be continued...]

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